Cicco Simonetta: un calabrese del Rinascimento Italiano

In Calabria Ti Guido Io

Cicco Simonetta:

un calabrese del Rinascimento Italiano

nato a Caccuri

di

Daniela Strippoli

Cicco Simonetta (Caccuri, 1410 – Pavia, 30 ottobre 1480)

Tra i personaggi protagonisti del Rinascimento italiano una figura di spicco è quella di Francesco Simonetta, meglio conosciuto come Cecco oppure Cicco in calabrese. Appassionato di Arte e di Letteratura oltre che di lingue, nacque a Caccuri (KR) nel 1410 in Via della Misericordia e, all’età di ventiquattro anni, dopo la sua formazione presso i dotti monaci bizantini in Calabria, entrò al servizio degli Sforza di Milano.

« …messer Cecco, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo… »

cosi scriveva di lui Niccolò Machiavelli nelle sue Historie Fiorentine. Per eccellentissimo non gli si voleva assegnare un encomio morale, bensì un riconoscimento particolare e prezioso.

La sua fervida carriera politica ebbe inizio nel 1435 al seguito di Renato d’Angiò. Fu consigliere nella disputa contro gli Aragonesi  per la contesa del trono di Napoli, nel 1444 entrò nella corte degli Sforza come cancelliere e segretario e quattro anni dopo diventò Presidente della Camera Summaria di Napoli.

Copia in gesso del ritratto di Cicco Simonetta il cui originale è conservato
nel Duomo di Como.

Il Duca di Milano nel 1450 affidò a Cicco per trent’anni  la cancelleria Segreta  e di conseguenza il controllo dell’intera attività politica del Ducato. Durante questi anni di servizio presso la corte sforzesca Cicco si occupò di molteplici aspetti e tra questi mi piace ricordare il suo ruolo di mecenate. Chiamò infatti Antonello da Messina perché lavorasse a Milano presso l’importante casata.  Nel 1452 sposò Elisabetta Visconti dalla quale ebbe sei figli. Durante il periodo del suo intenso impegno alla cancelleria, strinse rapporti di amicizia con le famiglie nobili tra le più importanti del tempo quali i Medici di Firenze e i Montefeltro di Urbino e compose un’opera fondamentale che donò alla corte del Ducato  Le Costituitiones et Ordines della cancelleria segreta. Con essa si ponevano le basi per una conduzione dello stato più al passo con i tempi, senza burocrazia di corte. Si sa che i migliori ambienti non risparmiano critiche ed invidie, anzi al contrario sembra che qui siano altresì più giustificate e spregiudicate. Non meraviglia infatti che, probabilmente per  invidia dei successi, dei meriti e del grande potere acquisito il Papa Pio II (1405-1464) mosse a Cicco in una missiva, delle infondate ed ingiuste accuse alla  sua amata terra, la Calabria che, da vero caccurese, mai smise di amare. A tale ingiuste accuse Cicco rispose al Sommo Pontefice: la Calabria è la più fertile et la migliore provincia che sia nel reame, benché la sia nell’ultima et estrema parte dell’Italia.

La morte di Francesco Sforza nel 1466 segnò il declino del ducato che fu affidato a Galezzo Maria, a sua madre Bianca Maria Visconti  e a Cicco Simonetta fin quando, dieci anni dopo, in seguito all’assassinio del duca Galeazzo, egli fu eletto dalla duchessa Bona di Savoia, ministro e collaboratore per tutelare il potere del piccolo Gian Galeazzo che aveva appena sette anni.

L’età giovane del piccolo Gian Galeazzo permise a Cicco di governare a pieno titolo l’intera città di Milano. Ciò fu mal visto dai milanesi sia per le sue origini calabresi e sia per la ricchezza accumulata durante gli anni svolti nella cancelleria. Questo malcontento si concluse nell’autunno del 1478 quando Bona di Savoia, sollecitata dal suo amante, il ferrarese Antonio Tassino, riuscì a scaricare Cicco Simonetta dal suo incarico di primo segretario accordandosi con Ludovico il Moro. Egli giunse a Milano con la scusa di liberare la duchessa dall’oppressione del potere del Simonetta e il popolo dalla tirannia che questo potere scaturiva. Tale mossa fu accolta festante dai milanesi e la duchessa accolse la causa del Moro introducendolo segretamente nel castello.

Cicco fu così arrestato e poco dopo processato. Durante l’evolversi del processo, fu più volte torturato e come unica alternativa alla decapitazione, gli fu imposto il versamento di una cospicua somma di fiorini. Al rifiuto di tale pagamento fu giudicato colpevole e giustiziato presso il Castello di Pavia. All’esecuzione seguì la distribuzione totale di tutti i suoi beni, tenute, castelli e terre. Era il 30 ottobre 1480.

A me sarà tagliato il capo e Voi, in processo di tempo, perderete lo stato.

Così Francesco Simonetta, pronosticò alla Duchessa Bona di Savoia quando decise di scendere a patti con Ludovico il Moro secondo quanto riportato su uno stralcio di documento dalla psicologa e giornalista Daniela Pizzagalli in La dama con l’ermellino. Vita e passioni di Cecilia Gallerani nella Milano di Ludovico il Moro.

Splendida vista panoramica di Caccuri

 

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