Cleta, Petramala e poi Cleto
In Calabria ti Guido Io
Cleta, Pietramala e poi Cleto
Un borgo di pietra
di
Daniela Strippoli
Dopo aver attraversato una tortuosa strada di campagna, risalendo la collina alle spalle di Amantea e lasciando il traffico caotico che la caratterizza nei giorni di festa, ho finalmente raggiunto il borgo antico di Cleto.
Appare dalla strada come se fosse leggermente adagiato sul Monte sant’Angelo su cui sorge e di cui ne segue dolcemente la pendenza ma, accidenti! Altro che lieve pendenza!
Una volta raggiunto il borgo è d’obbligo lasciare l’auto appena sotto la roccia che impedisce la vista a ciò che si erge al di sopra tanto è sporgente e ripida. Infatti è una piacevole sorpresa quello che si presenta alla vista man mano che si sale per quelle stradine. Tutto è inaspettato. I vicoletti sono graziosi e talmente piccoli che quasi si pensa di non poterli attraversare, a destra e a sinistra la roccia sorregge le abitazioni che si addossano una all’altra, gli archetti e i lampioncini coronano il tutto creando uno scenario fiabesco fino a quando si giunge nel larghetto della chiesetta del Santo Rosario. Una volta era una chiesetta attiva, oggi ne rimangono solo la sua facciata, il campanile e la campana che rende bene quanto doveva essere, prima del crollo, quel suggestivo angolo del borgo.
Da questo punto l’atmosfera fiabesca che mi ha accompagnata per tutta l’irta salita lascia spazio ad un’altra dimensione. La pietra prende il sopravvento. Non più ciottoli, laterizi e tegole ma solo roccia. Nella roccia è scavato un sentiero che a gradini sale fino a divenire castello. Dal basso sembra una vera e propria scalata da affrontare ma, dopo qualche passo ancora con l’affanno, la voglia di arrivare sotto l’arco d’ingresso del castello fa passare lo sconforto della salita. Si giunge sotto quell’arco, si guarda in dietro e ci si trova in alto, sul mare, a dominare la discesa dei tetti delle case e guardando in avanti, la torre svetta ancora più in alto racchiudendo ciò che rimane dell’antica fortezza voluta da Carlo I d’Angiò tra il 1260 e il 1280.
Ricercando la sua storia sul web è proprio su wikipedia che si legge quanto segue: “nel periodo della guerra di Troia, X secolo a.C., la regina delle amazzoni Pentasilea rimase uccisa in battaglia da Achille, Cleta sua nutrice, che l’amava con tenerezza, nell’udire la triste notizia, posta su una nave e accompagnata da molta gente, partì col pensiero di poterle dare onorata sepoltura. Così, Cleta, ancella di Enea come fu nei nostri mari scese a terra e o perché trovò impossibile compiere il pietoso ufficio o forse perché le piacesse l’amenità del sito decise di non passare più oltre, vi si fermò ed edificò la città che dal suo nome si chiamò Cleto” realizzando così la profezia di Cassandra.
La città crebbe di popolo e di forze, tanto che all’epoca dello splendore della Magna Grecia entrò in guerra con Crotone (anno 16 a.C.). I Crotoniati, con un esercito, uccisero la regina, la quale, prima di morire, ebbe ad esprimere il desiderio che tutte le regine che avrebbero regnato dopo di lei portassero il suo nome; così tutte le regine della città furono chiamate Cleta.
Fu colonia di Crotone insieme a Temesa e a Terina e dopo un lungo periodo di pace perché protetta da Crotone a cui si era alleata, fu distrutta nel 16 a. C e fino all’XI secolo conobbe un lungo periodo di decadenza.
Nel periodo normanno la città mutò il suo nome da Cleto a Pietramala o Petramala ma, non si riesce, o meglio così sembra, ad individuare se fu così chiamata per il nome della famiglia feudataria che vi regnò, o perché si vuole fare riferimento a quella pietra, la stessa di cui io stessa rimasi io stessa straordinariamente sorpresa e sulla quale sorge il borgo con, ancora più in alto, il suo castello.
Fortezza non sarebbe se non fosse munita di torri! Ecco infatti che il castello di Cleto sottolinea la sua importante e strategica funzione militare attraverso le sue due maestose torri cilindriche: una destinata come guardia al ponte levatoio e l’altra, più alta, destinata alla difesa della parte superiore e alla residenza del feudatario che ne occupava una parte di essa. Il castello di origine bizantino-normanna, si sviluppava, da come si evince anche allo stato attuale, pur se ridotto a rudere, su tre livelli.
L’ingresso principale era dotato di ponte levatoio, al secondo livello si apriva una corte con una delle due torri circolari che sorvegliava l’ingresso principale e vari altri ambienti e vi si accedeva da un piccolo ingresso posto lateralmente alla torre attraverso un portale in pietra che oggi rimane quasi sospeso in quanto privo di una buona parte di muratura. Il terzo livello interessava ovviamente la parte più alta e qui si disponevano una serie di ambienti laterali e nell’angolo si eleva l’altra torre circolare.
Al centro del castello, all’interno, sull’arenaria si aprono vere e proprie voragini. Erano silos per la conserva delle derrate alimentari: grano e altre conserve. La loro dimensione è davvero sorprendente e formano tra loro una specie di grotte tra loro comunicanti che farebbero più pensare a delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana che a dei silos propriamente detti anche perché si riconoscono chiaramente i canali di convoglio dell’acqua anch’essi scavati nell’arenaria. In realtà però, cisterne e grotte sono sparse anche al di sotto del castello e alcune sono visibili nel centro abitato se pur riutilizzate nel tempo come ricovero per gli animali. Durante lavori di recupero all’ interno di una delle due torri è rinvenuta una pergamena attraverso la quale si è potuto ricostruire la vita all’interno del castello.
Si evince che a Cleto si operava la tessitura il cui lavoro era sorvegliato dalla baronessa mentre il feudatario stabiliva, con pieno diritto, la vita dei suoi sudditi se colpevoli di delitti. In questo caso venivano giustiziati a morte nella “lupa” una caverna profonda e senza alcuna via d’uscita, in cui venivano gettati finendo di morire di fame e per soffocamento.
La storia del castello ha proseguito mescolandosi con quella delle varie famiglie che si sono contese il feudo e la sua vita probabilmente cessò in seguito al terremoto del 1783 in quanto un documento del 1789 dichiara che il Castello era ormai quasi completamente distrutto.
Ogni anno a Cleto, nel mese di agosto, si svolge il Cleto Festival, ideato dall’ associazione La Piazza, laboratorio socio-culturale, per dare vita al borgo antico e promuovere il territorio calabrese attraverso la sua Arte, il teatro, la fotografia, la letteratura ed il suo folclore.
Non si può immaginare il Castello di Cleto al tramonto se non lo si vive. Ogni cosa si tinge di arancio e la pietra prende vita, mette malinconia ma non in senso di tristezza, bensì di dolcezza. L’arpa suonata da una musicista che volava le sue dita su quelle corde infinite ha reso tutto davvero magico e la storia dell’amazzone Cleto si è risvegliata tra le mura di quel castello affacciato sul mare.
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