La Cupola della Chiesa del Ritiro di Mesoraca
La Cupola della Chiesa del Ritiro di Mesoraca
di
Daniela Strippoli
Nell’entroterra calabrese dove la natura sfoggia tutti i suoi colori passando gradualmente dalla costa alla montagna si adagiano sulla ricca vegetazione collinare, piccoli e grandi centri abitati. Mesoraca, nell’alto marchesato, in provincia di Crotone, è un borgo di circa seimila abitanti che sorge ai piedi della Sila piccola. Piccoli e grandi paesi in Calabria si scoprono forieri di cultura e di arte, ricchi di monumenti di grande valore che spesso rimangono nell’ombra perché poco conosciuti. E’ il caso della Chiesa del Ritiro considerata Monumento Nazionale ma che, ahimè, sono in pochi a saperlo!
Si annovera tra gli esempi architettonici più notevoli di stile tardo barocco in Calabria, risale alla seconda metà del XVIII secolo ed è stata realizzata per la caparbia volontà di Don Matteo Lamanna, sacerdote di Mesoraca formatosi presso il collegio dei Gesuiti di Napoli, che, da sempre, nutriva il desiderio di costruire nella sua cittadina una cattedrale.
L’importanza della Chiesa oltre a rappresentare una culla spirituale per i sacerdoti del marchesato, si deve principalmente all’istituzione del collegio di seconda classe inaugurato nel 1815 che venne denominato “Dei padri Pii Operai”. E’ qui che venivano impartite le nozioni del rito cattolico ai ragazzi e alle ragazze del territorio ma si studiavano anche storia romana, matematica, filosofia e letteratura latina.
All’esterno la chiesa si presenta con la facciata divisa su due registri, uno inferiore ed uno superiore, mediante una cornice aggettante. Il registro inferiore è costituito dal portale centrale che, in alto, è sormontato dall’epigrafe sulla quale si evince la data della costruzione della facciata avvenuta dal 1799 ed il 1801 ad opera di Andrea Pignanelli su commissione di Nicola Lamanna nipote e successore di Don Matteo dopo la sua morte avvenuta nell’agosto del 1772.
Al portale centrale corrisponde il finestrone della parte superiore. Entrambi i registri sono scanditi da lesene che inquadrano eleganti cornici quasi a voler indicare all’esterno, quelle in stucco che ricorrono all’interno lungo le pareti laterali e nella zona absidale in perfetto stile barocco. In alto, la facciata, termina con un fastigio timpanato affiancato dalle statue di San Pietro e San Paolo e da due piccole cuspidi esterne. All’interno del fastigio, entro un’edicola architettonica, trova spazio l’Assunta alla quale la chiesa è dedicata.
L’interno della chiesa è a croce latina, ad unica navata che si apre in sei cappelle laterali. La navata è separata dal transetto dall’arco trionfale e, al centro della croce, si innalza la cupola nella cui volta è affrescata l‘Incoronazione della Vergine. Mentre la volta sulla navata presenta l’Ascensione della Vergine affrescata, come ricorda l’iscrizione, nel 1834 da Pasquale Griffo di Borgia. Notevoli sono anche le opere pittoriche che ricorrono nel transetto e nelle cappelle laterali.
Ciò che fra tutte merita una maggiore attenzione è, a mio avviso, la cupola!
L’affresco irto di figure annovera la cupola di Mesoraca come quella più dipinta del mezzogiorno d’Italia. Si contano infatti ben centoventicinque figure bibliche che gravitano intorno alla Vergine Assunta e alla Gloria Celeste. Il bianco degli stucchi, le cornici aggettanti sui pilastri, i colori della volta rendono partecipe il visitatore immergendolo nel vortice azzurro del cielo. E’ così che, una volta giunti oltre l’arco trionfale alla fine della navata, si sale con lo sguardo e si notano i quattro angeli musicanti posti su una nuvola al di sotto della Trinità. Un angelo è nell’atto di suonare uno strumento simile alla chitarra, un altro sorregge con la sua mano destra uno strumento a fiato in legno paragonabile alla bifara che, a Mesoraca, si suonava in coppia con la zampogna. Gli altri angeli sono cantori ritratti nell’intonare un canto seguendo le note sullo spartito. La corona della Vergine era tenuta da una parte dal Padre e dall’altra dal figlio e la Madonna, con la veste rossa, avvolta nel manto azzurro e con le braccia aperte, e’ stata già annunciata come suggerisce la corona a dodici stelle che porta sul capo.
Non si conosce il nome dell’artista che l’ha affrescata. Sono numerosi i documenti in cui si parla di un anonimo pittore francese perciò è piuttosto difficile poter chiarire le mie curiosità e soprattutto le mie personali considerazioni. Ciò che mi colpisce di questa cupola è il senso pittorico dello sfondato spaziale. Troppo lungo sarebbe trattare qui discorso della profondità spaziale che ha impegnato i più grandi artisti dall’epoca medievale in poi e che sembra aver raggiunto i più grandi risultati in epoca barocca quando si era alla ricerca di uno spazio infinito illusorio sui soffitti di chiese e di palazzi. In questo caso, per seguire qualche riferimento cito opere come: “l’Apoteosi di Sant’Ignazio” del 1691 nell’omonima chiesa a Roma realizzata da Andrea del Pozzo o, ancora, il “Trionfo della Divina Provvidenza” in Palazzo Barberini a Roma opera di Pietro da Cortona.
Ma la cupola di Mesoraca mi fa rimanere ferma al Rinascimento, anche se di Rinascimento non si può parlare dal momento che la chiesa è stata realizzata tra il 1761 e il 1767. Mi ricorda moltissimo la cupola del Duomo di Parma realizzata da Antonio Allegri, meglio noto come Correggio, che elaborò un nuovo modo di concepire la pittura nel 1500. A Mesoraca la cupola è colma di figure. Se ne contano centoventicinque che gravitano secondo uno schema a spirale, poggianti su un’impalcatura architettonica costituita da gonfie nuvole disposte in cerchio che culminano in alto dove la luce sprofonda verso l’infinito. Gli angeli musicanti sono soggetti della tradizione italiana rinascimentale e ricordano le figure angeliche di Gaudenzio Ferrari nel Santuario di Saronno, come racconta il Prof. Willpatzer, con la differenza che a Mesoraca non suonano violini ma strumenti dall’aspetto più popolare.
La deduzione che ne traggo è che l’anonimo pittore attivo a Mesoraca sicuramente all’inizio del 1800 doveva essere un artista probabilmente a contatto con i grandi pittori dell’epoca e che aveva approfondito il discorso sullo sfondato pittorico fino al punto di riuscire a realizzarlo nella chiesa del Ritiro, nell’entroterra crotonese. Un’altra mia considerazione è che Don Matteo Lamanna, essendosi formato tra i padri gesuiti, probabilmente conosceva la chiesa di Sant’Ignazio da Loyola a Roma e, su esempio della decorazione pittorica della sua volta, avrebbe potuto commissionare un effetto simile all’artista da lui chiamato a Mesoraca per la Chiesa del Ritiro.
L’interno della chiesa presenta anche altri notevoli lavori di ebanisteria. Sono attribuiti ad Emanuele Grimaldi di Catanzaro i confessionali, i due cori e il bellissimo pergamo col baldacchino realizzati in legno di noce. La sagrestia conserva, entro grandi armadi in legno, gli arredi sacri del 700 oltre alle antichissime statue lignee del Cuore di Gesù e dell’ Addolorata mentre la graziosa statuina della Madonna delle Salette, con parti a vista in legno e in parte vestita di stoffa dorata, si conserva entro una teca in vetro posto su un grazioso leggìo.
Tra le altre opere rilevanti vi è anche una tela annerita e oggi non in buono stato di conservazione raffigurante San Filippo Neri la cui presenza nella chiesa del Ritiro è significativa.
Dal lato sinistro del transetto, una scala conduce nella cripta della chiesa che conserva la sepoltura del sacerdote Lamanna che lì morì nel 1772 come indica l’iscrizione.
Dopo la Soppressione del 1861 la chiesa cadde in abbandono e subì notevoli furti e solo di recente è stata restaurata
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