A Naca, A Cunfrunta, l’Affruntata, la Giudaica, i Vattienti

In Calabria Ti Guido Io 

A Naca, A Cunfrunta, l’Affruntata, la Giudaica, i Vattienti

Tradizioni popolari della Settimana Santa calabrese

di

Daniela Strippoli

                   L’Affruntata o a Confrunta a Girifalco (CZ)
                                   foto © Andrea Bressi

La Calabria è una regione in cui si vive ancora di tradizioni che sono fortemente sentite e, per questo, tramandate da generazione in generazione. Dolci, preparativi, abbellimenti, penitenze, riti sono gli ingredienti costanti di ogni festa calabrese e la Pasqua si caratterizza nella regione con le sue pittoresche e sentite usanze che ogni zona rivive secondo i propri usi e costumi.                                                                                                                                                                             Non c’è Pasqua a Catanzaro se il venerdì santo non esce per le vie del centro storico, a Naca! La sua origine risale addirittura al seicento e ogni anno si ripete il rituale con grande devozione e forte attaccamento alla tradizione. Ma a Naca, cos’è? I catanzaresi danno quasi per scontato che tutti ne comprendano il significato tanto è radicato in loro questo termine! In realtà però non è così. Si intende per Naca, il letto, la culla, o meglio dire in questo caso, la portantina dove Gesù viene deposto per essere portato in processione e, per questo ornata, di damaschi e seta di cui la città è stata particolarmente ricca, e circondata da bellissimi fiori. Alle due estremità della Naca sono disposti i quattro angeli con in mano i simboli della Passione e, alle spalle del letto di Gesù, una grande croce illuminata.

                      Ecco a Naca!
                   foto © Andrea Bressi

Tutti fuori per il centro storico dunque il venerdì Santo a Catanzaro. Si lotta per accaparrarsi il posto migliore lungo la strada per attendere il passaggio della Naca portata a spalla dalle confraternite delle arti e dei mestieri. Ormai si conoscono i minuti esatti in cui la processione passa da quel determinato punto della città nel rispetto delle regole che ormai si tramandano da centinaia di anni. A precedere la Naca sono infatti: lo stendardo, i gonfaloni delle congreghe cittadine, la croce di penitenza. A questo punto seguono le croci: la nera del Rosario, la rossa di San Giovanni, la bianca del Carmine e la celeste dell’Immacolata. Subito dopo seguono gli ordini religiosi, gruppi ed associazioni, i seminaristi, i diaconi, i parroci, i canonici, il vescovo e, infine, la Naca  accompagnata dalla banda musicale e dalle autorità civili e militari in grande parata, la Madonna Addolorata, vestita in nero con cuore trafitto dalle sette spade, e dietro, a chiudere il tutto, i fedeli che, con sentita partecipazione, vivono con rispetto ogni singolo momento. A rendere suggestiva tutta la processione è il suono di una  tromba e di un tamburo che intonano una marcia funebre che accompagna il passo lento del Cristo con la croce e la corona di spine sul capo, verso il Calvario schernito e percosso dai centurioni.

                         Un momento della Naca

Altra grande e sentita tradizione popolare prettamente legata alla Pasqua in Calabria è l’Affruntata o a Confrunta ovvero l’incontro tra l’ Addolorata, Gesù e San Giovanni.  E’ profondamente sentita in tutta la regione in particolare nelle province di Reggio Calabria, di Vibo Valentia, e in parte anche in quelle di Catanzaro e Crotone. Per essere anch’essa  una tradizione fortemente popolare si svolge come sempre tra le strade e le piazze dei comuni dove le statue vengono portate a spalla per simulare l’incontro di Gesù risorto. Il modo in cui si svolge è tutto da vedere! San Giovanni va avanti ed indietro per tre o cinque volte, a secondo di come comanda la trazione locale,  per annunciare il messaggio dell’avvenuta Resurrezione di Gesù. Ad un certo punto, terminati i giri a disposizione, correndo, avviene l’incontro tra Gesù, l’Addolorata che perde il velo nero del lutto e si veste a festa, da una parte e San Giovanni dall’altra.

                            La Naca trasportata a spalla 
                                foto © Andrea Bressi

La rappresentazione sacra è solo la fine di un lungo e travagliato preparativo che in genere precede ogni tradizione popolare di carattere religioso.  Nel caso dell’affruntata o da Confrunta per esempio, si svolge l’incanto, ovvero una sorta di sorteggio, per decidere a chi affidare l’incarico di portare le statue a spalla. Tre statue impegnano ben 12 portatori che devono tuttavia possedere i requisiti fisici idonei per supportare tale impegnativo incarico. Infatti se malauguratamente dovesse risultare malriuscita la manifestazione questo sarà sinonimo di brutti presagi per quel paese.

                          Momenti della Cunfrunta o l’Affruntata
                                         foto © Andrea Bressi

A Laino Borgo,in provincia di Cosenza, sullo sfondo del Pollino che svetta alle spalle, si ripete, a quanto pare dai primi anni dell’Ottocento, la Giudaica, ovvero una sacra rappresentazione del processo a cui è stato sottoposto Gesù. Si tratta di un vero e proprio Kolossal che si svolge lungo le vie del borgo per tutta la giornata. Dura infatti dalla mattina alle dieci fino alle diciassette del venerdì Santo con oltre cento attori in costume tra protagonisti, figuranti e comparse. Durante questa Sacra manifestazione si alternano momenti di profonda spiritualità attraverso la spettacolare processione e  situazioni di cultura aulica e popolare.                                                                                                                                                                       E’ una vera e propria rappresentazione teatrale all’aperto, tratta da un antico manoscritto del 1600 che racconta il processo, la condanna e infine la crocifissione di Gesu’.

                          Laino Borgo (CS) La Giudaica
                          momento della crocefissione

Altra cosa è poi la tradizione per fortuna circoscritta solo nel comune di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro. Per fortuna perché è una tradizione molto forte e altamente drammatica. Si tratta di un culto atavico e molto forte noto come quello dei “Vattientiche si svolge il venerdì Santo e alla quale si lega tutta la settimana Santa del paese. Vattere è un termine dialettale calabrese che significa battere, da qui il temine “vattiente” che indica colui che si batte il corpo o si percuote.

          Un momento della manifestazione di Nocera Terinese

E’ molto probabile che questo evento abbia sempre voluto ricordare una celebrazione che ha origini molto antiche legata al mito di Attis in Frigia, nell’Asia Minore, il cui culto era associato alle feste primaverili. Queste si celebravano ogni anno ed erano caratterizzate da autoflagellazioni da parte dei fedeli che si tagliavano fino a giungere all’autoevirazione che concludeva il rito. Ma si preferisce pensare che i vattienti vogliono solo ripetere la pratica religiosa di penitenza e di espiazione dei peccati tipica del medioevo o che vogliano riproporre il dolore fisico di Gesù durante la flagellazione, la sua salita al Calvario e la sua crocifissione.

                          Ci si vatte con il cardo
                          Foto © Andrea Bressi

Il rito si svolge contemporaneamente alla processione di Cristo morto per le strade del paese dove, un uomo scalzo e con in dosso un paio di pantaloncini ed in capo una corona di spine è il vattiente che va di corsa per le strade del paese, trascinando dietro di lui, legato ad una corda, il suo “Ecce homo”. Questi è un ragazzo che sorregge la croce e che, scalzo, coperto da un telo rosso e con la corona di spine sulla fronte, segue il suo vattiente. Insieme camminano per le strade di Nocera e di tanto in tanto il “vattiente” si sfrega le gambe con strumenti di sughero ruvidi e taglienti fino a fare uscire il sangue. Dopo il primo sfregamento con la cosiddetta “rosa” è la volta del “cardo” altro sughero in cui sono inseriti pezzetti di vetro. A questo punto il corpo del “vattiente” è segnato da rivoli di sangue che scendono per tutte le gambe. In questo stato percorre le strade del paese ogni tanto fermato da chi gli vuole spruzzare un po’ di aceto e vino sulle ferite per disinfettarle. Una volta ricoperto di sangue, il “vattiente”, correndo lascia le impronta delle mani sui muri delle chiese e su quelle di amici e parenti in modo da purificare i suoi cari. Solo allora raggiunge la processione della morte di Gesù non prima però essersi “vattuto” sotto la statua dell’addolorata.

Il Cardo con cui ci si vatte
Foto ©Andrea Bressi

 

 

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